Sembra incredibile, quasi paradossale, ma nella notte fra il 25 e il 26 gennaio è successo davvero: Nike ha depositato, presso la corte federale di Manhattan, una causa contro BAPE per violazione del proprio marchio. In altre parole, il colosso di Beaverton ha accusato il brand giapponese di basare il proprio business su silhouette che intellettualmente non gli appartengono e che hanno portato una confusione non indifferente fra i consumatori, tanto che nella stessa causa si legge che nel resell-market ci si rivolge alle BAPE Sta con gli appellativi di "Air Force 1" o "Dunk".
Il rapporto-nonrapporto fra Nike e Nigo
Logicamente, verrebbe da dire che questo evento è solamente il punto d'arrivo di un contenzioso ben più lungo: dopotutto, BAPE non ha mai nascosto la sua fortissima ispirazione per le Air Force 1, e, al contrario, se queste ultime sono diventate a tutti gli effetti un elemento fondamentale della cultura pop moderna, lo si deve anche al lavoro di Nigo, fondatore di BAPE e ora direttore creativo di Kenzo. Eppure, questa causa assume la forma di un fulmine a ciel sereno: come riportato dal "The Ultimate Sneaker Book" di Sneaker Freaker, Nike è sempre stata molto severa con i produttori di bootleg, ma con Nigo ha stretto quasi subito un tacito legame apparentemente indissolubile, consapevole della sua importanza nel diffondere la cultura street in Asia.

I limiti e le contraddizioni della causa intentata da Nike
Per questo motivo, benché BAPE produca le Sta dal 2000, nessuno si era mai lamentato o aveva pensato di aprire un possibile contenzioso, anche perché i target delle due sneakers sono e sono sempre stati diversi: il retail delle Sta, dopotutto, è nell'ordine dei 300 euro, circa tre volte quello delle Air Force 1. La confusione di cui parla la causa, invece, è stata più o meno "voluta" da Nike, che ha sempre cercato di fare in modo che dei suoi design si parlasse: e se le tue scarpe da 130 euro vengono confuse con paia da 300 euro, beh, forse non è così male, soprattutto considerando che difficilmente un ragazzino potrà permettersi una sneakers così costosa e che quindi, quasi inevitabilmente, andrà a cercare un pezzo simile proprio da Nike.

Allo stesso modo, Nike afferma che "fino al 2021, le vendite di BAPE su territorio statunitense sono state sporadiche, mentre da allora si è assistito ad un drastico aumento, allargando l'estensione della violazione di BAPE": ora, non per avvilire i milioni di dollari spesi da Nike per avviare questa causa, ma BAPE è dal 2011, ovvero dalla sua cessione al conglomerato I.T. di Hong Kong, che è relativamente diffuso nel mercato statunitense. In più, nel 2021 i ricavi dichiarati da USAPE LLC, divisione USA del brand giapponese, sono stati pari a 7 milioni di dollari: non proprio una follia, considerando che Nike quei soldi li fattura probabilmente in mezza giornata.
L'origine di questa causa, dunque, non appare proprio chiarissima, come se fosse stata intentata da Nike giusto per il gusto di farlo: se per quanto riguarda MSCHF e altri produttori di bootleg potevamo essere d'accordo, in questo caso la decisione presa dai vertici della multinazionale statunitense si scontra con quella cultura street che ha sempre dichiarato di voler difendere e "coltivare". Insomma, è come se, una volta andata via la geniale mente creativo di Nigo, BAPE fosse diventato l'ennesimo produttore di copie.
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Cosa ha chiesto lo Swoosh a BAPE?
Al momento, non ci è dato conoscere le richieste precisi del marchio statunitense: stando a quanto riportato dall'agenzia Reuters, Nike ha chiesto a BAPE di smettere di produrre le sneakers che infrangono i suoi brevetti e di risarcire una somma non specificata di denaro. Non sono ancora arrivati commenti dai rappresentanti delle tue parti, ma a quanto si legge nella causa il marchio giapponese si sarebbe rifiutato di interrompere la produzione di Sta e simili. Nei prossimi giorni seguiranno aggiornamenti, per cui vi invitiamo a rimanere connessi su Eyes 🙂